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Mechini, Gherardo

Gherardo Mechini (1550-1621) fu autodidatta e figlio d’arte, come tanti altri cartografi e operatori tecnici della sua età e, più in generale, dei tempi moderni che si formarono professionalmente in modo empirico e nel chiuso della cerchia familiare (Rombai, 1987, p. 371).

Anche la carriera pubblica dei Mechini fu quanto meno agevolata dalla presenza, nella burocrazia tecnica toscana, almeno fin dal 1565, di Domenico Sarrini, genero del padre Francesco Mechini; quest’ultimo, nonostante la non più verde età e le non eccelse capacità di ordine ingegneristico-architettonico, sarà anch’egli assunto nel 1571 nello stesso ufficio. All’ultimo periodo della vita di Gherardo (1616), risale poi l’assunzione (sempre nella stessa magistratura) del nipote Lorenzo Sarrini (Salvagnini, 1983, pp. 14-15).

Il padre, Francesco Mechini, semplice scalpellino di Settignano (Firenze), per oltre un decennio, poté servire come perito, o “capomaestro”, nella più importante magistratura tecnica dello Stato Fiorentino, i Capitani di Parte Guelfa e, proprio rivestendo questo prestigioso incarico, poté avere la possibilità di far assumere il figlio, prima (nel 1580) come suo sostituto temporaneo e poi, dopo le buone prove date, nel 1582, come “capomaestro” di ruolo.

Nei 17 anni trascorsi a tempo pieno nella magistratura (1580-97), Gherardo fu attivo più di qualsiasi altro capomaestro dell’epoca. Evidentemente, fu la sua spiccata e poliedrica personalità professionale a consentirgli di venire incaricato di circa un migliaio di missioni o sopralluoghi per problemi sia di ordine edilizio e urbanistico (con progettazione e costruzione i ville e palazzi principeschi, chiese, acquedotti e fognature urbane), sia di ordine infrastrutturale (vie e ponti), giurisdizionale (terminazioni e conflitti per i confini interni e statali) e soprattutto idraulico, “sempre redigendone il relativo rapporto, spesso corredato di grafico”: di regola, in forma di semplici schizzi disegnati rapidamente sul terreno, o tutt’al più di rilevamenti di impegno geometrico e di qualità cartografica modesti. 

Di tutte, resta abbondante documentazione in centinaia di perizie redatte con linguaggio semplice e familiare che non di rado lascia spazio a imprecisioni e sgrammaticature, e conservate in altrettante filze dell’archivio specifico, depositato in ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri.

Corre obbligo di sottolineare che è proprio il carattere non eccelso di tale produzione grafica a non avere consentito al suo pur attento e recente biografo e studioso, Gigi Salvagnini, di parlare (anche sommariamente) di un Mechini cartografo (Salvagnini, 1983, p. 8).

In realtà, tale egli fu. Lo dimostra il ristretto ma significativo corpo di figure dai contenuti prettamente cartografici di tipo amministrativo, a firma di Mechini, o a lui comunque attribuibili con una certa sicurezza come ‘inventore’: una produzione oggi dispersa in vari enti di conservazione, e quindi identificata con difficoltà, ma che vale a mettere in luce le non comuni capacità cartografiche gradualmente espresse dall’autodidatta perito di Settignano.

Per quanto tra il 1600 e il 1608 abbia speso molte energie ad accudire ai lavori per il completamento della grande “fabbrica di Livorno” (vale a dire, alla città ed emporio marittimo allora in corso di fondazione, progettata e iniziata dal celebre architetto ingegnere Bernardo Buontalenti) (Salvagnini, 1983, pp. 114-118), non c’è dubbio che gli “affari” nei quali Mechini poté esprimere il meglio di se stesso riguardarono le acque (sistemazioni, canalizzazioni e arginature fluviali, bonifiche per colmata o prosciugamento, costruzione di pescaie e ponti), tanto che egli finì col guadagnarsi una solida e certamente non immeritata fama di “ingegnere fluviale” (Salvagnini, 1983, p. 96).

Nel 1597, alla morte di Raffaello di Pagno, da qualche anno aiutante dell’ormai vecchio Bernardo Buontalenti, Gherardo venne infatti nominato “architetto di Sua Altezza” (e così affiancato al sempre meno attivo Bernardo per servire il granduca Ferdinando I): in tale veste ebbe modo di cimentarsi – come prima di lui avevano fatto personalità di spicco quali il Tribolo, Bartolomeo Ammannati e, appunto, il Buontalenti (Casali e Diana, 1983, pp. 10-11; e Salvagnini, 1983, p. 61) – anche in committenze di natura essenzialmente architettonica e di ampio respiro, su incarichi specifici della famiglia regnante; senza, tuttavia, che ciò comportasse l’interruzione del rapporto con i Capitani di Parte, specialmente riguardo agli “affari di fiumi” di maggiore importanza: grandi sistemazioni dell’Arno e del Bisenzio, dei corsi d’acqua della Valdichiana e della Valdinievole e di altre aree, che dovevano impegnarlo fino alla morte. 

Anzi, dal 1602, in seguito all’oggettivo aggravamento della questione idraulica, egli arrivò a cumulare nelle sue mani pure la carica di “ingegnere del Fiume d’Arno” già immeritatamente ricoperta, dal 1567, dal Buontalenti e poi, di fatto, dal di lui aiuto Raffaello di Pagno, e prima ancora da altri tecnici come il Tribolo, Girolamo di Pace e Pasqualino d’Ancona.

Come tardivo riconoscimento concreto alla frenetica attività mechiniana – i continui incarichi lo tenevano quasi continuamente lontano dalla sua amata villetta fiorentina, in faticoso movimento (sempre e solo a cavallo, tutt’al più in compagnia di uno o due capomaestri contingentemente affidatigli dai Capitani di Parte) nell’ampia scacchiera territoriale che era stata affidata alle sue cure (in pratica, l’intera Toscana settentrionale) – c’è da segnalare solo la tardiva concessione, prima, nel 1613, di un aiutante fisso non professionalmente qualificato (vale a dire, “d’un fante a piè che andasse seco alla giornata sulle visite, per dargli aiuto nel cavalcare, scavalcare et governare il cavallo”) e poi, nel 1619, quindi poco avanti il decesso, di un giovane perito, Pietro Petruccini, col duplice compito di coadiuvarlo nella professione e di assisterlo personalmente, in modo filiale come avvenne. 

In quella fase finale della sua vita operosa, si fece tuttavia più stretta la collaborazione con il suo principale collaboratore e allievo, l’architetto e ingegnere Alessandro Bartolotti, che gli sarebbe succeduto fino al 1637 e al subentro degli scienziati galileiani alla guida della politica territoriale medicea (Salvagnini, 1983, pp. 10, 13 e 174; e Rombai, 1996).

Così, nel 1621, l’assistente Petruccini ricordò il suo pur breve apprendistato fatto al seguito del Mechini, cercando di mettere in evidenza l’esperienza maturata alla feconda scuola del burbero architetto e ingegnere settignanese: “appresso del quale è stato sempre, e ritrovatosi a tutte le visite e differenze particolari et anco, stante la vecchiaia, è stato più volte mandato in assenza sua in molti luoghi, sapendo già potersene permettere per quello che haveva veduto e provato in lui; et anco più volte è stato adoperato dalli Sigg.ri Nove alli quali ha soddisfatto in tutto alli loro comandamenti, con fargli disegni di piante, et appresso relationi, sottoscritte et accettate dagl’interessati per vere, giuste e reali, et anco essendosi ritrovato alle visite che in quel tempo si sono fatte agli acquisti della Valdinievole, ha preso molta pratica di quei fiumi, et anco si ritrova nota di tutto quello che in ciaschedun luogo si sia ordinato, e schizzi di disegni che più volte se ne son fatti. E particolare carica sua è stata di visitare il Valdarno di Sotto e di Sopra, et anco levare le piante di tutto il Valdarno di Sopra, di Figline, di San Giovanni e Montevarchi, di sopra a Firenze dalla Porta San Niccolò a Rovezzano, di sotto a Firenze similmente, e tutte con misura, et ordinato lavori necessari per tutto con la spesa che ricercavano” (Salvagnini, 1983, pp. 174-175).

Di sicuro, Mechini, con la sua amplissima produzione peritale, “dimostra sempre di essere stato un professionista serio, onesto e fermo”, un “lavoratore instancabile, esigentissimo e severo coi sottoposti” (Salvagnini, 1983, pp. 10-11). Scrive Giorgio Spini che la sua figura “sta fra quella dell’artista di corte e quella del tecnico della pubblica amministrazione”; ma, a differenza di tanti altri, egli “non presta ora qua ora là la sua opera passando dal servizio di un signore ad un altro; lavora – diciamo così – a pieno tempo per il principe e per il suo stato, passando indifferentemente da un’opera di grande impegno artistico ad un lavoro qualsiasi d’ordinaria routine “(Spini, 1976, pp. 41-42).

In effetti, il tecnico che serviva nei ruoli della Parte, indipendentemente dalla sua formazione e qualifica professionale precedente (non pochi furono i “pratichi” provenienti dai mestieri della muratura e della lavorazione della pietra o del legno, altri dai ranghi della pittura d’arte), doveva ovviamente dimostrare doti tecniche adeguate, tra le quali era ritenuta fondamentale la buona capacità di rilevare e disegnare piante: in genere integrando o cercando di armonizzare il linguaggio pittorico-vedutistico con quello tecnico-planimetrico. Al riguardo, è emblematico il caso del pur dotato (soprattutto nell’arte del disegno) Piero Cecini, assunto nel 1585 e licenziato in tronco tre anni dopo “per non haver fatto interamente bene certa pianta commessagli” (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 745, c. 84).

Se l’opera principale di Mechini è da ascrivere, sia sul piano peritale che su quello cartografico, alle “questioni di acque” riguardanti specialmente il territorio della Valdichiana, non è tuttavia da tacere che egli fu uno dei protagonisti della grande operazione di rilevamento della viabilità pubblica dello Stato Fiorentino alla scala delle circoscrizioni amministrative di base, i popoli, che, dal 1582, impegnò per quasi un decennio tutti i capomaestri della Parte. Di sicuro, egli venne inviato, nel 1583, nel vicariato di Certaldo; nel 1585, operò in altri vicariati “del contado di Firenze” e nel capitanato di Volterra e Campiglia; infine, nel 1586, provvide da solo a rilevare le figure dei 37 popoli della potesteria di Vicchio di Mugello (Pansini, 1989, pp. 15-18; e Rombai, 1989, p. 23).

Quest’ultime tavole (ASF, Piante dei Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade, tomo 121/II, cc. 603-646) risultano tra le più complete (sul piano dei contenuti topografici) e belle (ovviamente sul piano grafico) della grande raccolta, consistente in oltre 500 figure ultimate e in varie centinaia di altre rimaste allo stato di abbozzo.

Pur in assenza di valori costanti di orientamento e di riduzione, queste piante si fanno apprezzare per la loro valenza topografica e quasi catastale. In effetti, l’atlante appare il risultato di una capillare operazione di rilevamento di tipo planimetrico, seppure parziale, basato su valori metrici e probabilmente anche angolari (assunti mediante la bussola adoperata come strumento topografico, per l’orientamento e l’inquadramento d’insieme), misurati direttamente sul terreno con strumenti agrimensori come braccia e pertiche, per quanto concerne almeno il sistema stradale e in parte quello idrografico, oggetti che risultano inequivocabilmente intrecciati per gli stretti rapporti di interdipendenza. Invece, le altre componenti paesistiche (insediamenti accentrati e sparsi, con speciale attenzione per quelli religiosi e signorili, opifici, ponti e strutture di sosta, alberi isolati o raggruppati in boschetti) sono in genere rese col tradizionale linguaggio prospettico-vedutistico proprio della cartografia rinascimentale, che fa assumere alle Piante, almeno in apparenza, la fisionomia di rappresentazioni fuori scala e di ricostruzioni a volo d’uccello. 

In ogni caso, il modulo pittorico non comporta sacrifici eccessivi per la precisione topografica, anche perché le concessioni di tipo ornamentale sono assai poche, qualificandosi queste figure per la loro essenzialità tecnico-pratica e per la loro grande valenza documentaria, come strumento geopolitico di fondamentale importanza, così com’è stato evidenziato negli innumerevoli studi che le hanno considerate (Rombai, a cura di, 1993, p. 160).

Come si è già avuto modo di enunciare, a giudicare almeno dagli schizzi sommari che corredano i rapporti tecnici dell’inizio degli anni ’80 (ad esempio, la figura dell’area fiorentina di Santa Croce, effettuata nei primi mesi del 1581 per la risoluzione di problemi fognari: ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 983, c. 103), Mechini risulterebbe lontano dall’essere padrone dell’arte del disegno, e quindi non parrebbero sussistere le condizioni perché egli potesse diventare un bravo e originale cartografo. Ben presto, però, anche nei disegni peritali, il giovane capomaestro comincia a dimostrare una graduale maturazione grafica e calligrafica, caratteri già riscontrabili in tante figure parziali disegnate speditivamente nell’occasione delle pressoché quotidiane incombenze peritali dedicate essenzialmente ai corsi d’acqua.

Già un disegno della fine dello stesso anno 1581, che illustra “una rottura del Mugnone” nell’area urbana fiorentina di Ponte alle Mosse, si fa apprezzare proprio per la bellezza grafica (Salvagnini, 1983, p. 26); altre figure successive si qualificano maggiormente pure sotto il profilo geometrico/cartografico, come dimostrano il disegno del mulino con gualchiera alimentata dalle acque derivate dal fiume Elsa nei pressi di Poggibonsi, fatto nel 1587 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 997, c. 26 bis), la figura progettuale del grandioso sbarramento sul Bisenzio al Cavalciotto di Prato (progettata e costruita, con Raffaello di Pagno, tra il 1588 e il 1592, per consentire di derivare le copiose acque fluviali a vantaggio del ricco sistema industriale locale) (ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone IX, carta 8) (un’altra carta raffigurante un tratto del fiume Bisenzio a monte di Prato venne disegnata dal Mechini e inviata nell’agosto 1602 agli amministratori pratesi, perché eseguissero, senza indugi, i lavori progettati: ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1013, c. 108. Cfr. Rombai, 1986, pp. 14-15; e Rombai, a cura di, 1993, p. 201), il disegno dell’Arno al Ponte a Buriano, nel piano di Arezzo, redatto nel 1606 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1017, c. 481), e soprattutto la rappresentazione della “rotta del fiume Cerfone” in Valtiberina, proprio al confine internazionale tra Sansepolcro e Citerna, disegnata tra il 1613 e il 1614 insieme al perito perugino Lorenzo Petrozzi (ASF, Piante antiche dei Confini, 1, c. 6; cfr. Rombai, a cura di, 1993, p. 271).

Doti mature di cartografo sono rivelate pure da alcune figure che inquadrano i consueti problemi di acque in contesti urbani, come la planimetria urbana d’insieme di Empoli disegnata nel 1594 per riorganizzare la rete degli scoli e delle fogne della città (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1004, c. 376) e la veduta schematica a volo d’uccello di Pescia e dintorni, disegnata nel 1583 in modo apparentemente più rapido. Quest’ultima, tuttavia, coglie con immediata efficacia e in modo davvero esauriente una città divisa in due dalla complessa trama delle sue gore punteggiate di opifici industriali da quelle alimentati (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 988, c. 63).

E’ un dato di fatto che i disegni mechiniani, “sebbene si facciano sempre più ricchi e interessanti col passare degli anni, fin dall’esordio hanno un loro carattere: il tratto è nervoso, irregolare, sfumato, il disegno minuto, quasi miniaturizzato; affollamento di particolari, frequenti notazioni ambientali fortemente pittoriche. Come nella scrittura, il tratto tende a incurvarsi, nelle illustrazioni tecniche (steccate, gabbioni, ecc.) diventa curato ed esattissimo. Altra interessante caratteristica dei suoi grafici è quella di avere talvolta settori sovrapponibili grazie ai quali si ha contemporaneamente la visione dello stato di fatto e quella di progetto” (Salvagnini, 1983, p. 26).

Fin dalla metà del XVI secolo, la Valdichiana fu al centro degli interventi di bonifica e colonizzazione espressi dal governo granducale nelle vaste proprietà medicee acquisite a più riprese tra gli anni ’20 e gli anni ’70. Tali operazioni si fecero più importanti dopo la morte di Cosimo I (1574), allorché prima il nuovo granduca Francesco I (1574-87) e poi il di lui fratello e successore Ferdinando I (1587-1609) provvidero ad ampliare il patrimonio di famiglia.

Dopo David Fortini e Bernardo Buontalenti, tra gli anni ’80 e ’90, quando si arriva ad una pianificazione dei lavori e ad un impiego di mezzi così cospicuo da raggiungere risultati di notevole entità, il Mechini viene inviato a più riprese nella valle, per contribuire ai processi di rivalorizzazione in atto. Egli vi fu sicuramente, con incarichi di ingegnere fluviale, nell’estate 1585 (forse per la prima volta, in compagnia di Pietro del Puglia e del Fortini che però se ne tornò presto a Firenze). Fu questa “una missione di estrema importanza” per le difficoltà della bonifica che vennero messe a fuoco nel lungo soggiorno, fatto di visite accurate al Canale Maestro e ai suoi innumerevoli immissari. Dall’ampia memoria, corredata di numerosi disegni idrografici, parziali ma assai curati (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 992, cc. 99-105), si evidenzia che, per ciascuno dei corsi d’acqua, Gherardo “dà consigli, propone difese, addrizzamenti, vuotamenti, arginature, allargamenti, mutamenti di letto”. E’, questo, un corpo davvero cospicuo e organico di interventi (in parte progettati a completamento di quelli già effettuati dal Fortini), comportanti una ingente spesa compresa tra 2000 e 3000 scudi, che avrebbe anche potuto giustificare una produzione così impegnativa quale il rilevamento d’insieme dell’intera vallata, fatta successivamente per meglio evidenziarne il critico stato di fatto, le opere in atto e, soprattutto, i progetti per la sua sistemazione idraulica e il suo recupero economico-sociale.

Di sicuro, “durante questa missione il Mechini viene a contatto con altri infiniti problemi e di tutti prende accurata nota redigendone rapporti anche a distanza di molto tempo” (Salvagnini, 1983, p. 31).

Da allora, Mechini visitò la valle almeno una volta all’anno. Tra il gennaio e il luglio 1586, in due distinte occasioni, Gherardo fu di nuovo in Valdichiana con Francesco Baglioni per studiare alcune compromesse realtà fluviali (Salvagnini, 1983, p. 32). Pure nell’estate 1587, in compagnia di altri tre periti (Bernardo Rabatti, Francesco Busini e Marcantonio Berti), Gherardo tornò a visitare la valle per verificare lo stato dei lavori e per progettarne dei nuovi, onde assicurare un più fluido scorrere delle acque verso l’Arno e, con esso, un maggior successo alle operazioni della bonifica in corso (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 758, c. 229, e f. 997, cc. 100 e 185; Salvagnini, 1983, p. 32).

Ancora nel 1588 e nel 1589, Mechini venne incaricato di visitare la valle e, nell’occasione, arrivò a progettare e a realizzare la ricostruzione della Chiusa dei Monaci allo sbocco del Canale Maestro nell’Arno (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 758, c. 155 ½, e f. 759, c. 98). Una visita analoga a tutta la valle fu effettuata nel 1591 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 762, c. 21/22). 

Nel 1592, Raffaello di Pagno progettò “di rendere navigabile il Canale della Chiana per la salute di tutte le città e terre” di quella regione (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 783, c. 160; Salvagnini, 1983, p. 40); sotto la guida di vari capomaestri, e soprattutto di Mechini, in pochi anni, tra Cinque e Seicento, il collettore di tutte le acque della Valdichiana toscana venne effettivamente scavato fino al nuovo confine con lo Stato Pontificio che fu fissato proprio in quegli anni, e precisamente nel 1595 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, ff. 1000-1004 e f. 1006, c. 163; Salvagnini, 1983, p. 59).

Anche in questi anni, quindi, Mechini fu a lungo nella valle. Addirittura, nel 1593, egli non mancò di fare da guida al granduca Ferdinando I in visita ai “lavori della Chiana” (Breschi et alii, 1981, pp. 20 e 49).

Successivamente, Mechini e di Pagno dovettero occuparsi pure dei poco produttivi lavori di essiccazione del Pantano di Monte San Savino, effettuati nel 1594-95 (Salvagnini, 1983, pp. 48-49). Di sicuro, nel 1599, Mechini progettò la ricostruzione del Ponte di Valiano e persino la realizzazione di ripari al Lago Trasimeno (Salvagnini, 1983, pp. 9 e 161).

Anche all’inizio del nuovo secolo, Mechini fu varie volte nella valle, per la progettazione e la ricostruzione sia di alcuni ponti già riedificati pochi anni prima, come quelli di Pratantico (1604) e del Bastardo (1610), e sia della Chiusa dei Monaci (1603 e 1609-10), oltre che per effettuare la nuova “livellazione” generale con gli aiuti Andrea Sandrini e Cosimo Pugliani, congiuntamente ai periti pontifici (un’operazione impegnativa, realizzata a più riprese fra il 1601 e il 1605), e per studiare la colmata del padule di Montepulciano con le acque torbide del Salarco (1613) (Salvagnini, 1983, pp. 101 e 165).

Tutto lascia credere che, durante la progettazione e l’esecuzione di questi interventi, Mechini e gli altri tecnici granducali abbiamo provveduto a documentarsi adeguatamente non solo de visu sul terreno, ma anche con ricorso alle scritture e cartografie disponibili in abbondanza negli uffici statali.

Emblematica appare la notizia per cui, il 16 giugno 1596, il principe Ferdinando I ottenne in visione dai suoi uffici due delle più note e attendibili raffigurazioni d’insieme della Valdichiana, vale a dire “la pianta ovvero il disegno di tutta la Chiana nominata la pianta del Sangallo architetto fiorentino” (rilevata nel 1532-33), che “è descritta in carta pecora, et comincia al fiume d’Arno et cammina sin al fiume della Paglia del Dominio ecclesiastico”; e “la pianta del Peruzzo [rilevata nel 1578] qual comincia al ponte a Valiano et cammina sin al pred.o fiume della Paglia” (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 2464, c. 1; Breschi et alii, 1981, p. 61).

Il lungo e fruttuoso impegno mechiniano è dimostrato pure da alcune cartografie anonime di parti della Valdichiana rilevate e disegnate dal medesimo ingegnere architetto e/o dai suoi collaboratori nei frenetici anni della fine del XVI secolo: è il caso di due figure del territorio di confine di Cetona, Chiusi e Castel della Pieve (non ancora sede vescovile). La prima presenta già scavato il Canale Maestro nel piano dell’Astrone e nell’area di Cornaiolo, insieme con un “argine per impedire che il Lastrone et altri fiumi del piano di Cetona non vadino secondo il solito alle vene delle Chiane”. La seconda visualizza, invece, le contromosse dei pievaioli, sotto forma di nuovi letti dei corsi d’acqua Tresa e Moiano con varie arginature erette per impedire che le acque toscane inondassero le terre umbre e aumentassero la pericolosità dello stesso Tevere nei confronti di Roma; in effetti, in due relazioni allegate dello stesso Mechini, ma non datate, si ricordano una grave inondazione a Roma del 1598 e l’immediato rafforzamento dello sbarramento del ponte Buterone che ne conseguì, con la preoccupazione che l’argine provocasse l’impaludamento del piano di Cetona, tanto che, per scongiurare tale sciagura, vennero erette nuove arginature da parte sia dei sudditi toscani che di quelli pontifici (le due figure sono in ASF, Miscellanea Medicea, f. 29, ins. 27, cc. 14 e 54, le relazioni in ivi, cc. 25-28 e 57-60; Breschi et alii, 1981, p. 33).

Ed è ancora il caso della figura tardo-cinquecentesca o primo-secentesca del territorio di Foiano e Lucignano, del quale non si mettono in luce tanto gli insediamenti e la viabilità, quanto il reticolo idrografico che appare il centro dell’interesse, per la progettazione di lavori di regimazione al corso del torrente Esse (ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone XXVI, c. 48).

La grande carta topografica (non titolata, datata o firmata) di tutta Valdichiana toscana e umbra, dalla confluenza del Canale Maestro nell’Arno fino al Tevere (dintorni di Orvieto), conservata nella Biblioteca dell’IGM (Collezione Fossombroni, n. 1 d’ordine, inv. generale n. 4451; Istituto Geografico Militare, 1934, p. 295), viene tradizionalmente, e con piena ragione, riferita alla fine del XVI secolo ed è sicuramente da annoverare tra i più antichi e “interessanti” cimeli manoscritti posseduti dall’ente cartografico nazionale.

La figura ha necessariamente una forma assai allungata (cm 46×218), risultato dell’unione di sette fogli (poi montati su tela), con una scala che può essere approssimativamente calcolata in 1:53.500 sulla base delle misurazioni di distanza tra i luoghi.

Il grandissimo dettaglio dei contenuti topografici (idrografia con canali e colmate, strade, insediamenti, fattorie granducali, diversi usi agrari del suolo) e l’alta qualità del rilevamento geometrico ne fanno un prodotto originale e di grande respiro, e spiegano la ragione per cui questo vero e proprio monumento ufficiale, costruito dai migliori operatori tecnici del Granducato per chiare finalità amministrative (vale a dire, al duplice obiettivo di raffigurare la situazione di fatto e di programmare interventi di stabile confinazione con lo Stato Pontificio, di bonifica idraulica e più in generale di sistemazione infrastrutturale e di colonizzazione agraria in quel territorio toscano che, all’epoca, più di ogni altro, era al centro delle interessate attenzioni della casa regnante, in quanto divenuto in gran parte di proprietà medicea), sia finito, insieme ad altri, nelle mani dello scienziato territorialista e politico Vittorio Fossombroni, il cui nome e la cui opera sono solidamente legati proprio alla Valdichiana.

In conclusione, il possesso di questa e di altre cartografie del passato da parte del Fossombroni si motiva, ragionevolmente, con lo spiccato interesse scientifico per una riproduzione di innegabile valenza strategica, pur senza escludere ragioni di ordine affettivo per prodotti concernenti un contesto territoriale particolarmente conosciuto e ‘vissuto’ dal celebre bonificatore di Arezzo.

La nostra figura mostra il Canale Maestro esistente solo in parte, come doveva presentarsi intorno al 1592-93, prima dei grandi lavori di escavazione anche nel settore meridionale dell’area: il Canale appare ben inalveato (inizialmente, con 4 letti appaiati) nel tratto più settentrionale, tra le confluenze dei rii della Pieve a Quarto-del Fosso Torto e fino al Ponte di legno della Lota e poi nell’ultimo tratto prima della confluenza nell’Arno (ove compaiono i mulini di San Domenico “dismesso” e dei Frati, con vari ponti: di Pratantico, a Chiane, della Lota), mentre a valle del rio della Pieve a Quarto viene del tutto meno: qui, si distende la grande area palustre (assai dilatata soprattutto nella parte centrale tra i centri di Foiano, e soprattutto Castiglion Fiorentino e Cortona, e frazionata in tanti “paglieti” e punteggiata di invasi più profondi di tipo lacustre, come i “chiari” di Castiglion Fiorentino o Brolio, Chiusi e Montepulciano in Toscana, e di Castel poi Città della Pieve in Umbria), attraversabile da una sponda all’altra solo mediante imbarcazioni conservate nei numerosi porti o, talora, mediante guadi ben tratteggiati; un analogo passaggio è indicato pure tra i chiari di Chiusi (a sud dotato di osteria e ‘guardato’ dalle due torri di Beccati Questo granducale e di Beccati Quest’Altro papalina) e di Montepulciano. All’importante nodo delle comunicazioni di Valiano, vengono raffigurati un ponte di barche, con al centro una torre e due osterie (una su ciascuna sponda) e, più a sud, in territorio pontificio, dopo il chiaro della Pieve, il ponte fortificato con il robusto argine di Buterone, la Torre dei Ladri (una scritta avverte che l’omonimo “ponte è rotto”), e con a seguire la Torre con il Ponte di Sotto: viene anche calcolata la distanza “da Torre a Torre” nella misura di un miglio. Dopo il Ponte di Sotto, si susseguono quelli da Galera e di Monte Leone (tutti di barche o comunque in legno), con la scritta “da questo luogo fino a Cornaiolo c’è 7 miglia”; segue infatti il Ponte a Cornaiolo con nei pressi la Strada Romana con osteria e il mulino del S. Maria.

Le già avviate operazioni della bonifica sono evidenziate non solo attraverso gli interventi di arginatura al Canale Maestro e di prosciugamento e colmata dell’acquitrino dei paglieti di Castiglion Fiorentino e Chiusi, ma anche mediante la scritta “A[c]quisti del Salcheto” che contrassegna la vasta area compresa tra Chianciano e il chiaro di Montepulciano, zona umida, quest’ultima, dove allora defluivano le acque della pianura circostante che non riuscivano a raggiungere né l’Arno né il Tevere.

Comunque, pochi sono gli edifici isolati (a partire da quello indicato come “Poder Vec[c]hio di Valiano“ e ubicato accanto all’osteria del ponte di Valiano) che sembrano fare riferimento al sistema mezzadrile che, all’epoca, doveva versare in uno stadio davvero iniziale.

La finalità tecnica della figura che doveva corredare una memoria scritta (che non è stato fin possibile individuare), dedicata o al granduca o ai vertici amministrativi dei Capitani di Parte, è inoppugnabilmente dimostrata anche dalla presenza di non pochi richiami alfabetici facenti riferimento sia ad edifici che a terreni; ma, di sicuro, essa emerge con chiarezza dalla accurata leggenda che compare in posizione centrale (in alto) e che sta a indicare la distribuzione spaziale e le destinazioni d’uso (con tanto di valori delle superfici) dei nuclei iniziali delle quattro fattorie che i granduchi, da pochi anni, avevano cominciato ad organizzare nella pianura di colmata (Bastardo, Castiglione o Castiglion Fiorentino poi Montecchio, Torrita e Paglieto poi Dolciano), in conseguenza delle donazioni del fondovalle alla loro famiglia fatte dalle comunità e dai grandi enti ecclesiastici locali tra il 1525 e il 1545 e poi ancora nel 1573.

Vale la pena di sottolineare che la carta IGM presenta gli stessi contenuti di una grandissima (cm 136,5×335) e bella carta d’insieme (inquadrante alla scala dettagliatissima di 1:10.000 la sola Valdichiana meridionale) (ASF, Miscellanea di Piante, n. 498) che venne costruita da vari capomaestri della Parte, tra cui sicuramente il Mechini, proprio negli anni 1593-95, nell’occasione dei rilevamenti e lavori della nuova confinazione tra i due stati, a cui attesero (per la parte medicea) i funzionari Dario Donati e Gherardo Boscoli; infatti, questa figura (redatta anche sulla base delle vecchie piante del Sangallo e del Peruzzo) “con ogni probabilità venne utilizzata nel corso di quell’operazione” (Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 40 e 378).

Tale carta contiene (con le componenti maggiori dei reticoli idrografici, insediativi e viari) ricche indicazioni sui lavori della bonifica in corso e sui più importanti proprietari, e infine sul confine tra Granducato e Stato Pontificio approvato nel 1595.

A tutta la Valdichiana fanno pure riferimento alcune altre raffigurazioni degli ultimi anni del secolo XVI o dei primi anni del XVII: la grande Pianta della Chiana nel territorio di Chiusi Stato del Granduca di Toscana, del territorio di Città della Pieve Stato della Chiesa dove si dimostra la choncordia chonvenuta sechondo la chapitolazione fattane, disegnata tra il 1595 e il 1605 (quasi sicuramente tra il 1601 e il 1605) dagli architetti dei due stati interessati, Gherardo Mechini per il granducale e Girolamo Rinaldi per il pontificio, con grandissima cura grafica (presenza di stemmi e rosa dei venti, di eleganti cartigli, scale grafiche e prospettive degli insediamenti, ecc.), al fine di offrire, per la prima volta, un ‘ritratto’ comune ufficializzato ad un territorio dai connotati così cangianti (per effetto sia delle divagazioni naturali, sia degli interventi alla rete idrografica prodotti dalle popolazioni locali) come il fondovalle, nei pressi del confine internazionale. 

Nel territorio fra il chiaro di Chiusi e lo sbarramento costituito dal ponte e argine con torre di Buterone, la linea giurisdizionale del 1595, peraltro, continuava ad essere oggetto di accese contestazioni dovute anche all’incessante dinamica delle acque favorita dalle opere che non compaiono nella carta IGM (nuovi letti del canale del Buterone e della Tresa, del “Fiume che va al Campo alla Volta”, con il corollario di nuove arginature), opere realizzate ora dai cetonesi e ora dai pievaioli, con inevitabili danneggiamenti reciproci (ASF, Miscellanea Medicea, f. 93, ins. V, c. 144; v. Rombai, a cura di, 1993, p. 290).

Corre obbligo di concludere con il Livello della Val di Chiana disegnato congiuntamente e “d’accordo”, tra il 4 ottobre e il 2 novembre 1601, dal gruppo di architetti diretti da Gherardo Mechini (per il Granducato) e Girolamo Rinaldi (per lo Stato Pontificio). La leggenda spiega che “fu principiato a livellare tutta la Val di Chiana dal Ponte Buterone fino a’ Ponti Murati d’Arezzo” con il riscontro “da luogo a luogo” di “calate e distanze”. In basso, fuori del campo disegnato, è riportato pure il profilo di livellazione della Chiana dall’Arno al Tevere, con indicazione dei ponti (in prospettiva), dei porti e dei chiari.

Questo Profilo di livellazione del Canale Maestro e delle acque della Chiana dai Ponti di Arezzo al Ponte di Buterone venne ridisegnato nel 1605 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 752), in base alle nuove operazioni metriche effettuate proprio in quell’anno, “di concordia”, dai periti granducali e pontifici, con consueta raffigurazione di tutti i manufatti e delle zone umide esistenti sul lungo corso d’acqua artificiale o nei suoi dintorni: tra l’altro, un’annotazione spiega che, tra i chiari di Chiusi e Montepulciano, l’acquitrino ristagnava completamente (“sta l’acqua in fra essi chiari in piano”) (Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 40 e 472-473). 

La particolare bellezza grafica di questa grande figura (cm 48×179,5) – chiaramente derivata dalla carta IGM – giustifica la sua conservazione, a quasi due secoli di distanza dalla sua redazione, nell’archivio privato o “intimo” del granduca Pietro Leopoldo di Lorena (che nel 1859 seguì i Lorena in esilio ed oggi è in SUAP, RAT 261/a) (Calzolai e Rombai, 1991, pp. 332-333). In effetti, la carta rappresenta in modo relativamente schematico, ma con linguaggio pittorico-vedutistico assai elegante, tutta la valle: così, insieme ai corsi d’acqua ad andamento naturale o canalizzato, ai chiari e ai paduli, ai ponti e ai porti, si restituiscono in prospettiva, con configurazioni che richiamano le forme reali, città e castelli, piccoli aggregati rurali e singoli edifici di uso agrario, religioso, industriale, militare o fiscale, di ristoro.

Produzione cartografica

Disegno dell’area di Santa Croce a Firenze, 1581 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 983, c. 103);

Veduta a volo d’uccello di Pescia e dintorni, 1583 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 988, c. 63);

Piante di Popoli e Strade del vicariato di Certaldo, del capitanato di Volterra e Campiglia, della potesteria di Vicchio di Mugello, 1583-86 (ASF, Piante dei Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade, tomo 121/II, cc. 603-646);

Disegni idrografici della Valdichiana, 1585 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 992, cc. 99-105);

Disegno del mulino con gualchiera sul fiume Elsa nei pressi di Poggibonsi, 1587 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 997, c. 26 bis);

Disegno della pescaia sul Bisenzio al Cavalciotto di Prato, con Raffaello di Pagno, 1588-92 (ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone IX, c. 8);

Pianta del fiume Bisenzio, 1590 (ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone XIX, c. 8);

Pianta dell’Arno a Castelfranco di Sotto con il Callone, 1596 (ASF, Capitani di Parte. Numeri neri, f. 1009);

Planimetria della città di Empoli, 1594 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1004, c. 376);

Carta topografica di tutta Valdichiana toscana e umbra, dalla confluenza del Canale Maestro nell’Arno fino al Tevere, 1592-95 (IGM, Collezione Fossombroni, n. 1 d’ordine, inv. generale n. 4451;

Carta della Valdichiana, 1593-95 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 498);

Due figure del territorio di confine di Cetona, Chiusi e Castel della Pieve, fine del XVI secolo (ASF, Miscellanea Medicea, f. 29, ins. 27, cc. 14 e 54);

Disegno del territorio di Foiano e Lucignano con il suo reticolo idrografico, fine del XVI secolo-inizio del XVII secolo (ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone XXVI, c. 48);

Pianta della Chiana nel territorio di Chiusi Stato del Granduca di Toscana, del territorio di Città della Pieve Stato della Chiesa dove si dimostra la choncordia chonvenuta sechondo la chapitolazione fattane, con Girolamo Rinaldi per lo Stato Pontificio, 1601-1605 (ASF, Miscellanea Medicea, f. 93, ins. V, c. 144);

Livello della Val di Chiana, con Girolamo Rinaldi (per lo Stato Pontificio), 4 ottobre-2 novembre 1601, insieme con il Profilo di livellazione del Canale Maestro e delle acque della Chiana dai Ponti di Arezzo al Ponte di Buterone, ridisegnato nel 1605 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 752, e SUAP, RAT 261/a);

Disegno di un tratto del fiume Bisenzio a monte di Prato, agosto 1602 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1013, c. 108);

Profili di livellazione di corsi d’acqua in Valdichiana, 1605 ca. (ASF, Miscellanea di Piante, n. 752);

Disegno dell’Arno al Ponte a Buriano, 1606 (ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, f. 1017, c. 481);

Pianta del Fiume Cerfone in Valtiberina, con Lorenzo Petrozzi, 1613-13 (ASF, Piante Antiche dei Confini, n. 1, c. 6). 

Riferimenti bibliografici e archivistici

Rombai, 2001; Rombai, 1987; Rombai, 1996; Salvagnini, 1983; Casali e Diana, 1983; Spini, 1976; Vichi, 1990, p. 57; Vivoli, 1992, p. 70; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 332-333; Piccardi, 2001, p. 23; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 472-473; Toccafondi, 1996, p. 149; Pansini, 1989; Rombai, 1989; Rombai, a cura di, 1993; Breschi et Al., 1981; Istituto Geografico Militare, 1934; Di Pietro, 2005, pp. 98-111; ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni e ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri; ASF, Piante dei Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade; ASF, Piante dei Capitani di Parte; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Piante Antiche dei Confini; IGM, Collezione Fossombroni; SUAP, RAT .

Leonardo Rombai

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